La leadership secondo Marchionne
A pochi giorni dalla scomparsa di Sergio Marchionne, i mass media si affollano, ora dopo ora, di commenti, riflessioni, analisi su ciò che questo grande dirigente ha rappresentato, nel panorama industriale italiano e internazionale, nei suoi 14 anni a capo prima della Fiat e poi di F.C.A., il sesto gruppo automobilistico al mondo.
Le mie conoscenze sul suo operato e sulle vicende industriali del gruppo Fiat si limitano a quanto appreso, specie in questi giorni, su stampa e TV. Non di meno, però, queste informazioni sono state bastevoli per farmi un'idea abbastanza chiara riguardo allo stile di leadership del grande condottiero aziendale italo-canadese.
Fra le tante doti e competenze umane e professionali attribuibili al dirigente Sergio Marchionne, ho così individuato almeno 6 qualità tipiche della leadership efficace applicate egregiamente da questo grande manager.
6 motivi per cui Marchionne è stato un vero Team leader
1. Visione e coraggio
Saper guardare oltre e immaginare gli scenari futuri è una dote tipica del leader.
E Marchionne è stato un grande visionario, nell'intuire, prevedere e anticipare lo sviluppo che avrebbe avuto il mercato dell'auto. Aveva capito che, per resistere alla competizione, era infatti necessario crescere di stazza.
"Solo quei gruppi che riusciranno a fabbricare 6 milioni di automobili l'anno saranno in grado di resistere nel futuro"
aveva previsto, nel 2008, in tempi in cui ancora in molti ragionavano in piccolo e a breve gittata, usando i soliti schemi nazionalistici.
E ha avuto, assieme, una buona dose di coraggio nel tradurre in azioni concrete, spesso di rottura col passato, questa sua chiarezza di visione.
Nel 2009, arriva così la svolta epocale: Fiat acquisisce l'americana Chrysler, ormai in bancarotta dopo la crisi del 2008.
Senza visione, il coraggio da solo spesso si tramuta velocemente in incoscienza.
Marchionne ha avuto, invece, sempre la capacità di unire mirabilmente assieme la forza di osare, di rompere gli schemi ad una non comune lungimiranza di visione e di strategie.
2. Il senso del Team
"Fiat ce la farà: il concetto di squadra è la base su cui creerò la nuova organizzazione; prometto che lavorerò duro, senza polemiche e interessi politici".
Sono queste le prime parole pronunciate in pubblico, nel 2004, subito dopo la sua nomina a CEO del gruppo Fiat . E Fiat ce l'ha fatta: col suo cambio di rotta repentino, ha ribaltato in pochi anni le sorti della storica azienda italiana, ormai sull'orlo del fallimento.
Rafforzare il lavoro di squadra, puntare sul valore del gruppo è stato infatti, da subito, un punto fermo, imprescindibile nella sua strategia di gestione del personale e dell'organizzazione produttiva.
E quando i risultati positivi hanno iniziato ad arrivare, non ha mancato di riconoscere pubblicamente il lavoro e l'impegno messo in gioco da tutti gli uomini dentro i suoi stabilimenti.
Così, ad esempio, si espresse dopo i numeri di bilancio raggiunti nel 2008:
"Il fatto di far crescere la squadra e di aver portato a questi risultati è veramente un riconoscimento alla capacità di questi ragazzi di saper accettare le sfide che sembravano impossibili".
Parole da vero motivatore e Team leader.
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3. Umanizzare il lavoro
"Il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato?"
Lo disse in un'intervista a Repubblica ricordando il suo primo periodo, all'arrivo in Fiat. E la sua umanità è un altro degli elementi che mi hanno colpito della sua biografia.
Un dirigente che ha avuto l'apertura mentale di prendere atto (sempre con coraggio) delle condizioni di lavoro dei suoi operai dentro gli stabilimenti e innescare processi virtuosi per migliorarne il benessere organizzativo.
Un approccio apprezzato dagli operai, dai sindacati, tanto da essere addirittura definito "il borghese buono" dallo stesso Fausto Bertinotti dei tempi di Rifondazione comunista.
Non un manager chiuso nelle sue stanze di comando, insomma, ma un uomo pronto a cogliere i disagi delle persone dentro l'azienda e pronto al tempo stesso a porvi rimedio: per Marchionne, la produttività e la qualità attese erano imprescindibili dalla dignità personale e dal dare attenzione ai bisogni di tutta la forza lavoro.
Un alto indice di sensibilità umana che, a mio avviso, non è facile trovare nel mondo del business.
4. Saper prendere decisioni difficili
"La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La responsabilità condivisa non esiste. Io mi sento molte volte solo"
Da leader, sapeva bene, infatti, che in certi "momenti chiave" decidere significa accettare di assumersi, in solitudine, la responsabilità e il rischio della scelta. Anche a costo di andare controcorrente e di non piacere al sistema.
E solo si sarà sentito, ad esempio, quando maturò la decisione di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese. O quando, anche in questo caso rompendo gli schemi del "così si è sempre fatto", troncò con la Confindustria e col contratto nazionale, facendo diventare normalità i contratti aziendali flessibili, dopo lo storico sì espresso dagli operai durante la stagione dei referendum negli stabilimenti.
5. Abilità nel negoziare
"Un eccellente negoziatore": così è stato sempre reputato dai concorrenti Sergio Marchionne.
Non gli mancava, infatti, la capacità di trattare con le persone e negoziare, per portare a casa il risultato. Un'abilità, quella della negoziazione, anch'essa competenza fondamentale di un Team leader efficace.
Storico rimarrà, fra le tante trattative portate avanti con successo, l'accordo siglato nel 2005 con General Motors: Detroit rinuncia al controllo di Fiat Auto, sborsando 1,55 miliardi di dollari, e Marchionne ottiene l'ossigeno per rilanciare la produzione. Che dire, un vero e proprio capolavoro di negoziazione!
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6. Carisma nel parlare in pubblico
Non è stato un oratore nel senso tradizionale del termine, Sergio Marchionne.
Ma nondimeno, anche nel suo modo di apparire e comunicare, ha espresso un carisma da leader: un anticonformista ma, al contempo, un public speaker efficace e di successo.
Marchionne usava spesso uno stile semplice, schietto e diretto, senza fronzoli, nel parlare con gli altri. Uno stile di comunicazione che rispecchiava il suo modo autentico e carismatico di essere.
Niente giri di parole, niente linguaggio forbito e complicato in "aziendalese", ma piuttosto un parlare chiaro, pratico, quotidiano in cui trovavano spesso spazio esempi e similitudini facilmente comprensibili da tutti.
Un approccio coerente col suo bisogno di abbattere le distanze, coinvolgere, farsi capire e seguire, specie da collaboratori e azionisti. Un linguaggio anch'esso fuori dal convenzionale, non "affettato", perfettamente en pendant col suo look personale, di cui il famoso maglioncino nero ne è stato e ne rimarrà l'icona.
Grazie e buon viaggio, dottor Marchionne
Forse è davvero uscito di scena troppo presto, il manager Sergio Marchionne.
Credo che avrebbe potuto stupirci ancora tanto con la sua leadership straordinaria. Magari non più e solo in Fiat, chissà... Due anni fa, a Roma, agli studenti dell'Università aveva detto:
"Siate come i giardinieri: investite le vostre energie in modo che qualsiasi cosa facciate duri una vita intera e anche di più"
Di certo, durerà parecchio, più di una vita, il suo esempio rivoluzionario e dirompente, la sua lungimiranza e il suo coraggio quasi spregiudicato, realista e vincente.
Grazie, dottor Marchionne, e buon viaggio. Un viaggio che, immagino, vorrà fare, anche stavolta, col suo immancabile pullover.
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