Leadership e discorsi motivazionali: una lezione da Giulio Cesare
Chi, come me, studia la motivazione e la leadership, presta molta attenzione a cosa fanno i grandi leader per guidare i gruppi.
In questo caso, la lettura di una biografia romanzata di Giulio Cesare mi ha ispirato alcune riflessioni su di un aspetto particolare di alcuni leader: il carisma, cioè la capacità di affascinare ed influenzare gli altri senza usare la forza.
Nel libro, veri o falsi che siano, sono raccontati diversi momenti durante i quali il protagonista mette in gioco la sua leadership, spesso facendo ricorso ai cosiddetti "discorsi motivazionali".
In questo articolo, ti propongo uno schema classico di discorso motivazionale che, usato da Giulio Cesare, ha funzionato.
Il potere negativo delle paure collettive
“Le masse perdono abbastanza spesso il lume della ragione. Una voce non confermata, una falsa insinuazione, una promessa che non sarà mai mantenuta sono cose che, eccitando una particolare nota emotiva che arrivi facilmente a tutti, riescono a privare anche persone intelligenti della facoltà di valutare i pro e i contro di una situazione, o di una proposta. Per farle rinsavire è necessaria un’apparente razionalità che non punti a convincere su una base logica, ma che sostituisca un’emozione con un’altra.”
Queste parole, Rex Warner le fa pronunciare al suo Giulio Cesare, nel romanzo “Cesare Imperiale”. In questo libro, Cesare racconta la seconda parte della sua storia in prima persona. E nel libro sono contenuti una serie di “lezioni” di leadership.
Uno degli episodi dai quali qualsiasi manager può imparare risale al periodo della campagna in Gallia. Molti ufficiali avevano seguito Cesare convinti di arricchirsi senza fatiche e sofferenze (combattere, marciare, scavare) e non si aspettavano le difficoltà della guerra. Ma dopo i primi giorni, un gruppo di giovani aristocratici impoveriti presenta le proprie dimissioni mettendo l'esercito romano in difficoltà numerica.
Cesare ne lascia andare alcuni e il suo tono di voce sprezzante convince gli altri a rimanere. Ma, in questa fase, chi rimane ha molta paura ed erano alle soglie dell'isteria perché convinti di perdere la vita.
Cesare sa bene che la paura è contagiosa e fa perdere la lucidità e, quindi, la capacità di combattimento e sospetta che la causa di questa paura sia la mancanza di fiducia nei suoi confronti. Naturalmente, nessuno o quasi si dichiara spaventato e le scuse ufficiali dello stato d'animo negativo sono le difficoltà di approvvigionamento e l'impossibilità di esplorare correttamente il percorso nella foresta (teatro di possibili battaglie).
Tutti dichiarano che seguirebbero Cesare ovunque ma temono fortemente che "saranno gli altri a rifiutarsi di marciare", appena ricevuto il segnale di attacco.
Un combattimento, in quelle condizioni significa quasi sicuramente andare incontro alla sconfitta e, per questo, diventa fondamentale trovare una soluzione per recuperare la fiducia delle truppe e vincere le future battaglie.
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Come far fronte alla paura collettiva
Una delle soluzioni più utilizzate in questi casi, è "giustiziare un uomo ogni 10" (naturalmente parlo dei tempi dell'impero romano) ma l'esercito è già stato decimato dalle malattie e l'esercito nemico è molto vicino.
Cesare decide quindi di di affrontare il problema "con lo strumento politico dell'oratoria", oggi diremmo con un "discorso motivazionale".
"Convocai a rapporto i centurioni di ogni grado e iniziai insultandoli nei termini peggiori possibile per la presunzione ignorante e disciplinata che avevano dimostrato. Li apostrofai sul dove o sul perché li stessi guidando. Da quando in qua era competenza dei centurioni e dei soldati organizzare gli approvvigionamenti o decidere in che direzione marciare? Dopo queste osservazioni preliminari, l'esercito era sgomento per i toni che avevo scelto e mi accorsi di aver conquistato l'attenzione generale, perciò tutti avrebbero ascoltato quello che gli avrei detto in seguito. Iniziai a parlare dei Germani quasi per caso, come se non fosse un argomento di grande interesse. Spiegai che Ariovisto (un generale germano, alleato dei galli, nda.) aveva un forte debito di riconoscenza verso i Romani e verso di me personalmente. Trovandosi di fronte a un esercito deciso probabilmente avrebbe fatto ciò che gli avevo chiesto di fare, rilasciare gli ostaggi edui e ritirarsi al di là del Reno.
Queste parole sortirono l'effetto desiderato. L'auditorio si calmò e iniziò a prendere l'aria decisa di cui avevo appena parlato. Li misi subito di fronte all'altra alternativa. Ariovisto, aggiunsi, poteva essere abbastanza folle da preferire la guerra alla pace. Se così fosse stato, tanto peggio per lui. Ricordai loro come 40 anni prima mio zio Mario e il suo esercito avessero sbaragliato le immense orde di invasori germani, e gli feci notare che le vittorie di Ariovisto sui Galli non provavano nessuna particolare abilità dei germani in combattimento. I Galli infatti non erano mai scesi in campo con un esercito compatto, e Ariovisto era stato fortemente avvantaggiato dalle battaglie combattute solo in distaccamenti locali.
A questo punto diedi conto brevemente della questione degli approvvigionamenti, informando che si trattava di una mia responsabilità, non loro, e che in realtà l'avevo già risolta completamente per cui non si correva il benché minimo pericolo di rimanere a corto di provviste. Quanto al percorso avrebbero ben presto avuto modo di giudicare loro stessi. Conclusi con un'osservazione personale. Dissi che non potevo sopportare l'idea di guidare un esercito che non aveva fiducia in me come comandante. Quindi avrei levato il campo in anticipo rispetto al previsto. Avremmo iniziato l'avanzata verso il nemico prima dell'alba. Così avrei scoperto quanti soldati del mio esercito avessero ancora coraggio e senso dell'onore e quanti invece fossero degli ignobili codardi. Se non mi avesse seguito nessuno sarei andato avanti da solo con la decima legione. Non avevo il minimo dubbio sulla lealtà dei centurioni e dei soldati di quella legione, a prescindere dall'opinione che mi ero fatto del resto dell'esercito.
Il discorso ebbe l'effetto desiderato. Ora tutti volevano battersi il prima possibile. Gli uomini della Decima erano felicissimi della fiducia che gli avevo pubblicamente tributato. I soldati delle altre legioni trascorsero il resto della giornata a presentarmi delegazioni che mi garantivano di non aver mai avuto il minimo dubbio se seguirmi o meno, e mi giuravano di essere altrettanto, se non di più, coraggiosi dei commilitoni della Decima legione."
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Su che cosa fa leva Giulio Cesare?
Naturalmente non sapremo mai se Cesare ha davvero fatto questo discorso alle sue truppe. Sappiamo che questo racconto è compatibile con la storia e che, dal punto di vista della comunicazione, il risultato descritto è coerente con quanto detto dal protagonista.
Quindi, mi piace l'idea di parlare di questo discorso come se fosse vero. Per me è vero.
Ma quali sono stati gli elementi vincenti di questo discorso?
Sicuramente fare leva su di un valore importante per un militare, come il coraggio e l'aver utilizzato il giudizio (oggi diremmo il feedback) duro nei confronti dei centurioni e dei soldati che, quindi, si sono sentiti sfidati.
Anche il manifestare sicurezza (quando afferma di voler partire prima solo con i più coraggiosi) è uno dei modi migliori per trasmettere sicurezza e affidabilità e, quindi, essere seguiti.
La terza strategia di Cesare è "premiare" i più meritevoli (il riferimento alla sua fedelissima decima legione è stato un grande riconoscimento pubblico) e creare, così, un modello da raggiungere, un traguardo. E avere un traguardo da raggiungere significa avere una sfida da vincere.
Parlerò ancora di questo discorso in un prossimo articolo, e lo andrò a paragonare ad un un altro discorso motivazionale celebre. Stay tuned!
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