Cosa ci insegna sulla comunicazione la missione fatale del giovane John Allen Chau
Qualche giorno fa, al TG, ho sentito la storia dell'assurda fine di un giovane missionario americano, John Allen Chau. Una storia davvero singolare, che mi ha colpito e portato a riflettere sui presupposti che stanno alla base delle nostre relazioni.
Una storia da cui (ahimè) ho tratto tre lezioni sulla comunicazione efficace e sulle implicazioni che i nostri atteggiamenti hanno nella vita. Il tema? Cosa intendiamo per rispettare e amare gli altri… ma non solo. Partiamo, però, con un breve riassunto di questa triste, recente vicenda.
North Sentinel, dove vive la tribù primitiva più isolata al mondo
North Sentinel è un’isola delle Andamane (Indonesia) poco conosciuta.
In quest’isola vive all'età della pietra una delle poche tribù indigene che, da migliaia di anni, non ha mai avuto contatti con altri esseri umani.
Per le leggi della zona, è vietato andare sull’isola: gli abitanti (circa 150 persone della tribù dei Sentinelese) sono particolarmente aggressivi e attaccano chiunque cerchi di mettere piede nella loro isola. Anche la Guardia Costiera indiana si tiene alla larga da loro, durante i suoi controlli periodici nella zona.
Per quanto l’accoglienza sia poco carina, gli indigeni hanno le loro ragioni: essendo rimasti sempre isolati da tutto e da tutti, non hanno nessuna protezione immunitaria e il contatto con qualsiasi altra persona “civile” potrebbe avere conseguenze nefaste.
Basterebbe, infatti, una semplice influenza per creare un’epidemia e sterminarli. Questo, del resto, è già successo con altre tribù ed etnie (si vedano, a puro titolo di esempio, Incas, Aztechi e Maya).
John Allen Chau, il giovane "armato" di eccessivo fervore missionario
John Allen Chau è un missionario americano descritto dai suoi amici come un ragazzo “puro” e generoso, appassionato di natura e di calcio che, per la maggior parte dell’anno, ama vivere isolato in una cabina, in mezzo ai boschi statunitensi.
John viene a scoprire l’esistenza di North Sentinel e, per anni, sogna di andare in quell'isola "blindata" a predicare e convertire gli indigeni al Cristianesimo.
Fino a che, ai primi di novembre, non decide di portare avanti questa sua missione.
Così, violando una legge indiana che vieta tutti i contatti con i sentinelesi per reciproche ragioni di sicurezza, armato di kayak e Bibbia water-proof, riesce a farsi portare vicino all’isola da alcuni pescatori compiacenti.
Appena possibile, si avvicina agli indigeni e li saluta dicendo loro (nella loro lingua, naturalmente): “Sono John, vi amo e anche Gesù vi ama”.
Anche per lui, nessuna eccezione: una freccia colpisce la sua Bibbia e lui va via.
Ci riprova, però, una seconda volta: la canoa con cui è andato sull’isola viene distrutta dagli uomini della tribù e John è costretto a tornare a nuoto alla barca d’appoggio, lontano da riva.
Ma anche questa volta, lui non demorde,… purtroppo.
Prima di ripartire, trova il tempo di scrivere alla famiglia:
“Penserete che sono pazzo, ma per me vale la pena di portare Gesù tra quella gente. Non incolpate gli indigeni se verrò ucciso”.
Il 16 novembre 2018, John fa un ultimo tentativo. Questa volta, purtroppo, una delle frecce lanciate dagli indigeni va a segno. E i pescatori che lo hanno accompagnato, dalla loro barca, vedono gli indigeni trascinare sulla spiaggia il corpo senza vita del ragazzo per seppellirlo.
I presupposti per comunicare: cosa aiuta a evitare conflitti e incomprensioni
Una storia triste, con un finale terribile.
Ma che, come detto all'inizio, può almeno servirci per mettere a fuoco meglio alcuni errori da evitare nel nostro modo di comunicare con le altre persone.
La prima cosa da imparare, ovviamente, è di non andare a predicare in quell’isola, se abbiamo voglia di sopravvivere. Ma c’è qualcosa di più utile, credo, che questa esperienza mi ha trasmesso.
Ed è una domanda:
SULLA BASE DI QUALI PRESUPPOSTI CI RELAZIONIAMO CON GLI ALTRI?
Le intenzioni di John, a ben vedere, erano assolutamente positive e le sue azioni erano mosse da valori universali come l’amore, la spiritualità e la fratellanza.
Ma qual era il presupposto (errato) che è costato la vita al povero John?
Probabilmente, la convinzione sottostante che ha spinto il giovane missionario ad agire in quel modo potrebbe essere stata qualcosa del tipo: "Il mio modo di vivere e il mio credere in qualcosa di più grande di me (Dio) è l'approccio corretto, quello giusto, mentre il tuo è sbagliato, e quindi da correggere”.
Io non mi sento in grado di dire quale modo di credere (o di non credere) abbia più valore. Ma posso dire che è un tipo di presupposto che può facilmente incontrare resistenze da parte degli altri (e meno male che non tutti sanno tirare una freccia con precisione!).
Molti conflitti in famiglia, tra amici, sul posto di lavoro nascono proprio perché ci si relaziona partendo da presupposti molto simili a questo. E, anche se gli altri non reagiscono quasi mai con armi proprie o improprie, spesso le loro reazioni fanno male.
E si creano muri, strappi, fratture (relazionali, ovviamente) che spesso producono allontanamento, frustrazione e malessere.
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3 consigli "salvavita" su cui basare la relazione con gli altri
Voglio condividere con te (ma solo se hai voglia di leggerli) i suggerimenti che ricordo anche a me stesso:
- Essere curiosi, aprirsi e scoprire qualcosa assieme agli altri è più utile e dà più energia rispetto ad approcciarsi alle altre persone con l'idea di sapere già cosa sia giusto o cosa sia meglio fare. Il più delle volte, succede che anche gli altri mostrano più apertura e disponibilità e il confronto diventa più costruttivo.
- Se proprio ritieni di avere suggerimenti utili da dare, chiedi prima il permesso a chi ti ascolta: di solito, è più facile ottenere attenzione e disponibilità a considerare ciò che hai da dire. Perché? Perché all'altro arriva forte e chiaro un messaggio chiave: ti rispetto.
- Evita di insistere e di forzare imponendo i tuoi consigli a chi ti ha detto di no e fatto capire con chiarezza che non gli interessa ascoltarti. Ostinarsi fa arrivare agli altri il messaggio che non hai nessun rispetto e interesse per loro ma solo di te stesso e della tua missione di salvare il mondo.
Il mondo, per fortuna, riesce ad andare avanti anche senza il nostro aiuto.
E, se offrire aiuto è un atto di pura generosità e anche di amore, invece imporre aiuto è un atto di arroganza, soprattutto se prima non ci accertiamo di essere in grado di aiutare davvero.
Se da questa storia hai imparato anche altre “lezioni”, ti invito a lasciare un commento a questo articolo… te lo sto chiedendo e, quindi, non solo non ti arriveranno frecce ma, anzi, verrà apprezzato. 🙂